giovedì 13 giugno 2013

Nuovo racconto!

Dopo l'esperienza di Work In Progress, ci riprovo. Questa volta è un racconto thriller/horror, dal titolo...

Show Time!

http://www.theincipit.com/2013/06/show-time-dystopico/


martedì 21 maggio 2013

Un vecchio progetto ritrovato...(5)

Doni inaspettati

Quartier generale della Ruggine

7.00


La cuccetta riservata a Darius era piccola, umidiccia, e leggermente sporca, ma al ragazzo tutto ciò non importava. Per la prima volta nella sua vita si sentiva parte di qualcosa. Sentiva di essere importante per qualcuno, per qualche fine superiore, sebbene non sapesse bene quale.
<<Hey, Demo-coso, è tempo di rendersi utili! Porta il tuo culo qui in basso!>> Tuonò il vocione del Baffo dal piano inferiore. Darius si alzò dalla branda scricchiolante che gli avevano assegnato e si diresse dove glie era stato chiesto. Ad accoglierlo c'era il Baffo, come previsto, accompagnato però da un ragazzino spelacchiato, poco più che quindicenne probabilmente. Quest'ultimo reggeva una grossa e pesante cassa di armamenti e munizioni di ogni genere.

<<Hey, ragazzo! Questo è Zack, mio figlio, e quello che regge in mano è il tuo prossimo impiego qui alla Ruggine. Se vuoi rimanere qui devi renderti utile, come tutti gli altri. Andiamo a fare di te un cecchino, avanti!>>

<<Piacere, signor Demo>> Squittì il piccolo da sotto la pila di armi.

Prima che Darius potesse replicare alcunchè, si ritrovò con una carabina ad aria compressa fra le mani e un manichino di paglia davanti. Nonostante il nome, un proiettile della carabina era capace di perforare il cranio di un uomo piuttosto cocciuto a circa 60 metri di distanza, il che ne faceva un'arma decisamente letale.

<<Ok, ragazzo, questa, come avrai notato, è una carabina ad aria compressa: un gran pezzo di arma, se me lo chiedi. Prima di tutto devi sapere che le carabine di questo genere hanno un vantaggio enorme sulle altre armi convenzionali: possono sparare qualunque cosa passi dalla loro canna. Non è una carica esplosiva a fare il botto, e questo le rende anche molto più silenziose di una carabina normale. L'unica pecca è che devi caricare ad ogni singolo colpo, e in una situazione piuttosto agitata non è il massimo, ma ci farai l'abitudine.>>

<<Aspetta un attimo, intendi dire che è un'arma a colpo singolo? Come un moschetto o una di quelle cose di migliaia di anni fa?>>

<<Esattamente. I moschetti li userai più in là però; ci vuole una particolare perizia per adoperare quelli.>>

<<Ma è roba da matti, è come combattere un elefante armato di uno stuzzicadenti! Quelli del ministero della Non-Congruenza hanno fucili al plasma e carabine a termite, lance al fosforo e chissà cos'altro! >>

<<Oi, chiudi quella boccaccia, piccola pulce! Non hai idea di ciò che si può fare con quello che abbiamo qui. Il nostro punto forte è, ed è sempre stato, riuscire a fare cose inimmaginabili per chiunque con quello che abbiamo a disposizione, che molto spesso, quando è qualcosa, è merda.
Io ti farò fare miracoli, ragazzo mio, non hai nemmeno idea di ciò che sarai capace di fare quando avrò finito con te!>>

Darius tacque. Quello scoppio d'ira da parte del Baffo lo aveva lasciato senza parole. Era come se fosse affezionato a quel mucchio di ferraglia che si ostinava a chiamare armi.
Rassegnandosi Darius imbracciò la carabina, e tentò di sparare al bersaglio. Il Baffo subito lo corresse, aggiustandogli la posizione dei piedi e delle spalle. Il calcio della carabina andava piazzato in un punto ben preciso, o il rinculo del grosso pistone che si intravedeva sul lato gli avrebbe rotto una clavicola. Di fianco a lui, con un bersaglio analogo, si stava esercitando il piccolo Zack, con una carabina identica alla sua, ma con risultati decisamente sbalorditivi. Ogni colpo andava a segno, perforando e smembrando una parte diversa del manichino, o sempre la stessa, a seconda del capriccio del ragazzo. Ora Darius si sentiva perso, e decisamente incapace.
Il ragazzino mirava, sparava e ricaricava con la stessa naturalezza con cui mangiava la sbobba che servivano alla mensa del quartier generale. Ogni tanto, rendendosi conto di invisibili cambiamenti al suo rendimento, aggiustava una vite, o modificava qualche pezzo del fucile in maniera impercettibile, in modo da mantenere quella infallibile precisione che caratterizzava ogni suo sparo.
Darius riusciva sì e no a colpire il bersaglio.

<<Come te la cavi, Demo? Chiese il Baffo con fare scherzoso, perfettamente consapevole della superiorità di suo figlio in confronto a lui.>>

<<Diciamo che qualcuno qui è partito con un po' di vantaggio>> Rispose di rimando Darius.
<<Un po' di pratica e sarò anche meglio di lui, basta solo avere un po' di pazienza>>

A quel punto un pezzo del corpo principale della carabina di Darius si staccò di netto, e rotolò a terra, come a sottolineare quanto incredibili suonavano le parole di Darius.

<<Ahah, Darius, ragazzo mio, hai ancora molto da imparare!>> Disse il Baffo con una fragorosa risata.

A quel punto successe l'incredibile. Una strana luce brillò per un solo istante negli occhi di Darius.
Una piccola pacca su un angolo del fucile ed esso cadde in pezzi, smontato in ogni suo piccolo componente. Cinque minuti dopo Darius reggeva in mano un nuovo oggetto. Aveva una canna corta, la metà di quella di un fucile, un'impugnatura insolitamente lunga, e una sorta di scatola, che fungeva da rudimentale caricatore sul lato. Darius la puntò verso il manichino, e premette il grilletto. Una raffica di proiettili crivellò il bersaglio, lasciando solo una nube indistinta di paglia e brandelli al suo posto.

<<WOHA! Ragazzo, che diavolo hai fatto a quel fucile?>>

<<Non saprei davvero... Per un attimo tutto mi era chiaro, ed ero certo di ciò che facevo, ma ora mi sembra di non ricordare più nulla. Suppongo di averlo reso più adatto a me. Non sono un grande cecchino a quanto pare...>> Rispose Darius imbarazzato e stupito.

<<Demo, per quanto mi riguarda, se continui così puoi avere tutto l'arsenale a disposizione... Dannazione, guarda in che stato hai ridotto quel bersaglio!>>

Di tutti Darius era il più stupito. Fino ad allora gli era capitato di smontare parecchie cose, di solito per errore, ma non era mai riuscito a ricostruirne una, e tantomeno a modificarla migliorandola.
Aveva percepito una strana sensazione, un' improvvisa chiarezza in tutto ciò che faceva. Una sensazione di appropriatezza, come se tutti i pezzi rispondessero ai suoi comandi e bisogni, una fusione totale con ciò che stava facendo.

Il Baffo concesse il resto della giornata a Darius per chiarirsi le idee e capire che cosa aveva fatto nel poligono di tiro per replicarlo eventualmente su altre carabine. Darius cercava di ripensare a ciò che aveva fatto, ma non riusciva. Era come se gli mancasse l'ispirazione, come se qualcosa di intangibile non ci fosse più. Il momento, l'occasione, le circostanze: Darius non sapeva che cosa aveva innescato quella sua stramba reazione.

Nel pomeriggio incrociò di nuovo la ragazza con cui si era accapigliato nel convoglio che lo aveva portato alla Ruggine, la figlia dell'ex capo-meccanico. Indossava una salopette sporca di grasso e di un colore quasi indefinibile da quanto era sudicia, e portava i capelli legati, perchè non le impedissero la vista. I guanti da meccanico e una pesante chiave inglese indicavano che stava lavorando a qualcosa, e Darius decise di cogliere l'occasione per fare pace con lei scusandosi e offrendo i suoi servigi.

<<Che diavolo vuoi, buono a nulla?>> Fu il saluto della ragazza.
<<Hei, ciao, senti, so che ti devo le mie scuse. Non sapevo che l'ex capo-meccanico fosse tuo padre, altrimenti avrei parlato in modo diverso.>>
<<Ah, questo è poco ma sicuro>>
<<In ogni caso che stai facendo? Ti potrei dare una mano...>>
<<Ahah, un incapace come te? Ne dubito... A meno che tu non sappia qualcosa di motori.>>
<<Beh, dimentichi che, anche se in modo anomalo, sono stato assegnato alla carica di capo-meccanico, quindi qualcosa devo sapere per forza. Lasciami dare un'occhiata, non si sa mai.>>
<<Fai pure, dopo di te. Non vedo l'ora di sapere che cosa pensi di fare con quella chiave serratubi che hai appena tirato su. Avanti, stupiscimi!>>

Darius si abbassò, e guardò attentamente il motore, sperando fortemente per la sua dignità che il suo cervello se ne venisse fuori con qualcosa di fenomenale, e lo cavasse da quell'impaccio. Il suo cervello era un tipo spiritoso apparentemente, perchè lo lasciò sulle spine per 10 minuti buoni, in cui armeggiò senza un paricolare scopo con gli ingranaggi del motore, prima di sentire la stessa sensazione di quella mattina.
Le sue mani procedevano senza indugio, smontando pezzi, riavvitandoli e combinandoli assieme. Chiese qualche pezzo supplementare, ebbe bisogno di nuovi attrezzi, ma il risultato fu sbalorditivo.
Il motore che aveva messo assieme in qualche ora aveva il doppio della potenza e la metà del consumo. Aveva una notevole gamma di utilizzi e applicazioni, e adesso, grazie al suo intervento, poteva sostenere carichi e temperature molto maggiori senza fondersi.
La ragazza era rimasta a bocca aperta durante dutto il processo, da quando aveva iniziato a capire dove voleva andare a parare Darius a quando lui aveva completato il suo intervento facendole scoprire di non aver capito nulla.

<<Che diavolo hai fatto? Se eri così bravo perchè non l'hai detto subito?>>

<<Eh, il problema è che non lo sapevo fino a stamattina>> disse Darius, grattandosi la nuca con finta modestia.

<<E in ogni caso sono solo eventi dettati dal caso e dall'occasione>> spiegò il ragazzo, dando la versione dei fatti che gli sembrava calzare meglio gli ultimi eventi.

<<Beh, speriamo in altre di queste illminazioni allora. In ogni caso penso che sia ora di fare delle presentazioni adeguate. Il mio nome è Rebecca, ma prova a chiamarmi in quel modo e ti ritrovi un occhio nero. Quelli che vogliono rimanere illesi mi chiamano Becky.>>

<<Io sono Darius, detto anche Demo dai miei colleghi, per la mia capacità di demolire qualsiasi cosa tocchi. Penso che però quel nome stia diventando in qualche modo inappropriato ultimamente.>>

giovedì 2 maggio 2013

Un vecchio progetto ritrovato... (4)

Ordini dall'alto

Sala del trono


<<Ehm, mi scusi sua altezza>>

<<Che cosa vuoi, Peters?>>

<<Temo che ci sia stato un problema nel Ministero della Non-Congruenza. Il prigioniero Darius Greensmith è riuscito a scappare.>>

<<Greensmith? Non è quello che sei anni fa provò a ficcare il naso nell'affare del settore numero 5 ?>>

<<Sì, signore, corrisponde.>>

Il reggente aveva un'aria stanca. Quattrocento anni di governo pesavano sulle sue spalle di platino, frutto dell'ultima ricerca sulle protesi umane ad Atlantide. Il reggente era da sempre simbolo di grande prosperità e ricchezza, ed era per questo che si faceva letteralmente “di tutto” per preservarlo nella sua integrità (almeno quella fisica). Al momento appariva come un'elegante accozzaglia di lamine di ottone, oro e platino, che ricoprivano parzialmente il lavoro di fine orologeria al di sotto. Sprofondò nella poltrona di cuoio rosso, adeguatamente imbottita, continuando a fissare Peters con un certo disgusto misto a noia.

<<Peters, che stai facendo ancora lì?>>

<<Signore?>>

<<Hai perso un prigioniero, santo cielo, e uno dei più importanti per giunta, che ti aspetti che ti ordini?>>

<<Signore, vado subito a sistemare tutto. Verrà riacchiappato al più presto>>

Il Reggente tacque. Il suo volto sembrava implorare pietà al cospetto degli anni. Girò la poltrona verso la grande vetrata che dava sulla città. Guglie, pinnacoli, comignoli fumanti, ciminiere, un glorioso tramonto offuscato dal vapore e dal fumo delle fabbriche. Atlantide era cresciuta molto durante il suo governo. Ricordava ancora quando, al suo insediamento, riusciva a vedere dalla sua finestra i confini della città. Ora quei confini erano ben al di là delle sua capacità visive, sebbene avesse protesi telescopiche impiantate in entrambe le orbite.

Si avvicinò ad uno scaffale ripieno di strambi soprammobili, e con un sospiro ne afferrò uno. Era un piccolo e sottile parallelepipedo nero. Una volta quel suo pulsante centrale doveva aver avuto una funzione, ma ora era semplicemente un inerte blocchetto di ferraglia inutile. Sulle mensole dello scaffale c'erano oggetti simili, tutti classificati secondo la loro funzione primaria. Erano stati reperiti tutti durante il suo governo, dalla colonia-esperimento.
Sulla colonia la tecnologia, negli ultimi 100 anni, aveva fatto un balzo gigantesco rispetto a quella di Atlantide, diversificando i suoi interessi e prendendo una strada diversa, microscopica, così poco elegante e raffinata che al Reggente veniva il voltastomaco solo a pensarci. Ad Atlantide, grazie ai sofocrati, il vapore, l'ottone, e i sacri principi rimanevano inviolati. Non si sarebbero mai visti scempi del genere lì. Nostalgico il reggente si sedette ad un piccolo tavolino con un elaborato grammofono sopra. Aveva un numero inspiegabile di trombe, e funzionava a molla, come i migliori della categoria. Prese un vecchio e polveroso disco nero dalla mensola, e dopo averlo ripulito lo pose sul piatto.

<< bzzz …. Mr Watson, come here, I want to see you bzzz...Mr Watson, come here, I want to see you bzzz …. Mr Watson, come here, I want to see you>>

Era una registrazione un po' vecchiotta, di più di un secolo prima, ma serviva al reggente a ricordare quando gli abitanti della colonia si erano discostati dalla verità, ed avevano infranto i sacri principi per sviluppare marchingegni privi di armonia, del tutto inappropriati e blasfemi.

Il Reggente prese una penna stilografica e chiudendo gli artigli di ottone attorno ad essa si mise a scrivere su un pezzo di carta.
Ordini per i Ministeri.
Una volta spedito quel messaggio il Ministero delle Cose Materiali, e in particolare la Gilda dei Meccanici, si sarebbero impegnati a distruggere ogni prova dell'esistenza della matricola promossa a capo meccanico conosciuta come Darius Greensmith detto “Demo”. Il Ministero della Non-Congruenza si sarebbe adoperato per aumentare il numero di pattuglie nelle strade, e soldati dotati di apparecchi detti “Otto-orecchie”, per origliare i discorsi in un raggio di qualche decina di metri , oltre a pubblicare volantini per la cattura di Darius (senza ovviamente nessun nome o cognome), basandosi sul suo volto attuale, promettendo una lauta ricompensa. Il Ministero della Sapienza avrebbe iniziato ad elaborare una strategia per usare Darius, una volta catturato, per strappargli ogni più microscopica informazione a proposito della Ruggine, e possibilmente, per usare egli stesso contro l'organizzazione.
Il Reggente finì di scrivere, fece asciugare il foglio, lo arrotolò, lo inserì in una capsula, e infine lo spedì attraverso la posta pneumatica alla sua segreteria.

Meditabondo si lasciò ricadere sulla poltrona, e si mise a pensare al futuro. Che cosa avrebbero fatto quelli della Ruggine con il meccanico? Che cosa sapeva?
Il ragazzo era un semplice operaio, non poteva avere così tanto acume da arrivare ad una conclusione così vicina alla Verità. Con l'aiuto della Ruggine però aveva la possibilità di andarci molto vicino, e questo andava evitato a tutti i costi.

Il ragazzo non sarebbe mai arrivato a scoprire la verità, mai. Ne andava del suo futuro, di quello di Atlantide, e probabilmente dell'intera umanità. Il ragazzo andava fermato in ogni modo possibile. La Verità doveva essere preservata.

martedì 23 aprile 2013

Alba

Camminavano, mano nella mano, sulla spiaggia. Il sole stava iniziando a bagnarsi nel mare, colorando il cielo di sfumature arancioni e le poche nuvole presenti di rosa. Julia aveva scelto quel posto perché voleva che quelli che potevano essere gli ultimi momenti in cui vedere la persona a cui teneva di più al mondo fossero indimenticabili.
Passeggiavano, parlando del più e del meno, ridendo ognuna delle battute dell’altra, senza preoccuparsi del giorno seguente. Ma bastò una battuta di troppo e un silenzio inquietante scese tra le due.
Julia lasciò la mano della compagnasi allontanò di qualche metro, stringendosi a sé guardando un punto lontano.
-Non voglio, Sarah… non voglio- disse
-Sai che vorrei rimanere, ma non posso- rispose Sarah avvicinandosi alla compagna.
Julia si girò di scatto, guardando l’altra negli occhi -Sai che se non dovessi tornare, non potrei mai perdonarti, vero?-
Sarah abbassò lo sguardo, non voleva che la paura per quella eventualità fosse evidente nei suoi occhi.        --Non dire così…- disse provando a rassicurare sia Julia che se stessa -Se ti fa sentire meglio, posso prometterti che ci rivedremo-
Julia era sull’orlo delle lacrime ma rispose convinta -Promettimelo-
-Ti prometto che ci rivedremo- disse Sarah dolcemente, abbracciando Julia. Rimasero così per qualche minuto: Sarah che stringeva forte Julia che non era riuscita a trattenere le lacrime e piangeva sommessamente.
Il sole, nel frattempo, era calato sempre di più.
Fu Sarah a staccarsi dall’abbraccio e a dire -Devo andare-, senza avere però il coraggio di guardare Julia negli occhi. Si allontanò senza voltarsi, per paura di vedere il volto sofferente della compagna. Raccolse il borsone con la scritta U.S. ARMY da terra e si diresse verso la jeep che la stava aspettando. Il conducente non disse nulla durante il viaggio alla base militare ma sapeva benissimo cosa doveva provare quella novellina: La prima volta è dura per tuttipensò mentre si avvicinava alla base.
Julia rimase sulla spiaggia, senza nemmeno tentare di fermare le lacrime.
Il sole scomparve nel mare.

Erano passati ormai tre mesi da quando Sarah era partita per la missione in Medio Oriente. Julia era seduta in salotto, tenendo tra le mani una foto di loro due. Sarah aveva ancora i capelli lunghi, come prima della sua entrata nell’esercito. Anche se mancava poco all’alba, lei era già sveglia da un pezzo ed era rimasta lì, con la foto in mano: non riusciva a dormire bene da quel fatidico giorno, nemmeno ora.
Sentì bussare alla porta e a malincuore ripose l’immagine sul tavolino ed andò ad aprire.
-Una promessa è una promessa- sentì prima di riconoscere il viso di Sarah sulla soglia. Julia sentì le lacrime uscire dagli occhi mentre si gettava tra le braccia della compagna. -Sapevo che saresti tornata- disse un istante prima di baciare Sarah. -Lo sapevo…- ripeté discostandosi ma rimanendo abbracciata.
Il sole iniziò a sorgere.

lunedì 22 aprile 2013

Paradise Lost

Vorrei fare una piccola premessa, se mi è concesso.
Innanzitutto vorrei dirvi che questa, come molte altre, se non la totalità, delle storie che ho scritto, è nata inizialmente come fantasia scaturita da una canzone. Quella di questo brano è, sorpresa sorpresa, paradise lost dei Symphony X.
Inoltre voreri avvisarvi che quella che state per leggere è, credo, la prima vera "storia" che io abbia mai scritto con intenzione. Quelle precedenti erano solo testi, più che altro temi o compiti a casa. Questa... Diciamo pure che è la mia nascita, la mia morte, la mia condanna.
Ci sono stati giorni in cui ho maledetto quell'istante in cui ho deciso di scrivere le poche righe che seguono, giorni in cui scrivere mi sembrava un dolore più che un piacere.
So... yeah, enjoy.

***
L’ultima cosa che vedo è il sole. Quel sole che ha brillato sulle nostre teste, sulle nostre vite.
Su di noi.
Noi, angeli del paradiso, condannati ad una vita di amore reciproco con tutti… ma con te è stato diverso.
Sin da quando ti ho vista la prima volta, ho capito che non eri un angelo: eri di più. Talmente bella da farmi cambiare idea sul concetto di amore, da farmi pensare a trasgredire a leggi millenarie, che esistono dalla notte dei tempi.
Idee blasfeme, punite con la morte.
Perché anche gli angeli possono morire, gioire, soffrire. Ma senza di te, io soffrivo come non mai, come mai nella mia vita abbia mai fatto.
E quel giorno fatale, quel giorno in cui decisi di trasgredire tutte le regole… lo ricordo con felicità. Quella mattina grigia, fredda, in cui te eri già sveglia e già viva, sulla strada fuori dalla città. Avevo pianificato tutto: la tua caduta, il mio intervento, il mio aiuto…
Il tuo sorriso.
No, questo non l’avevo calcolato: quel tuo sorriso così spontaneo, genuino, bello, che mai ti avevo visto rivolgere a qualcuno. Tu mi hai preso la mano che ti avevo porto con quel sorriso, quel maledetto sorriso… tutti i miei piani sono andati a monte, ho seguito l’istinto:
ti ho baciata.
Un bacio così passionale, così improvviso, ma non per te. Tu lo hai ricambiato, rendendoti complice di un reato peggiore del tradimento: l’amore unico, per giunta tra donne. Quando ho capito la gravità di quel gesto, era troppo tardi, anche per tornare indietro. Così abbiamo continuato a vederci. Mi piaceva, ti piaceva, CI piaceva l’idea di stare insieme, senza impegni, sempre con il timore di essere scoperte. I primi tempi eravamo inesperte, timide, ancora un po’ diffidenti l’una dell’altra, ma con il passare dei giorni all’innocenza è subentrata la passione
La nostra rovina.
Quel giorno eravamo semplicemente assieme sotto a quell’albero, il nostro albero, l’unico testimone dell’inizio della nostra storia, a godere della presenza dell’altra con qualche sporadico bacio innocente… forse uno di troppo. Eravamo troppo prese da noi stesse per preoccuparci di coloro che stavano guardando proprio nella nostra direzione. Quando lo raccontarono al tribunale, sapevamo entrambe che era finita.
Il nostro sogno si era concluso così.
Ma io non avrei mai sopportato di vederti morire… così mi sono fatta avanti per proteggerti, nonostante sapessi che tu non avresti voluto. Ho confessato tutto, ho mentito, ho pregato, ho pianto per salvarti.
Ed alla fine ce l’ho fatta.
Sei stata graziata, sei stata messa al bando e fatta ritornare sulla Terra, ma almeno sei viva. Io invece sto pagando la tua, la NOSTRA, libertà. Mentre mi avvicino alla scure, non una lacrima riga il mio viso, se non appena prima dell’attimo fatale: non per tristezza, ma per te che hai dovuto pagare così tanto per la mia decisione.
L’ultima cosa che vedo è il sole.
So che tu ci sei. E sempre ci sarai.
Chiudo gli occhi, la lacrima mi cade.

venerdì 19 aprile 2013

Un vecchio progetto ritrovato... (3)

Sangue e Ruggine


<<Darius Greensmith, 22 anni, residente ad Atlantide da 12, esatto?>>

<<Esatto, ma lei chi è? E dove sono? Come ci sono arrivato qui?>>

<<Si calmi per favore, otterrà tutte le risposte a tempo debito. Lei è stato incaricato di sistemare il guasto al settore 5, esatto?>>

<<Sì, ma questo che c'entra?>>

Di colpo Darius iniziò a capire che l'affare in cui si era cacciato era più grande persino di quello che pensava. La preoccupazione di un'implicazione nelle indagini di un omicidio non lo sfiorava nemmeno, ora che presentiva le dimensioni della faccenda.
La voce dell'uomo sembrava provenire da molto lontano, come se fosse riprodotta da un altoparlante. Eppure l'uomo era lì, intangibile e indistinguibile; una silhouette appena accennata a pochi metri da lui.

<<Dica, Darius, ha detto a nessun altro di ciò che ha visto al settore 5?>>

<<Cosa? Che dovrei aver visto?>>

<<Abbiamo frugato il suo appartamento, quindi non menta. Sappiamo che è a conoscenza di fatti importanti, in cui non dovrebbe aver ficcato il naso.>>

<<Ah...>>

Come aveva fatto a non pensarci? In fondo l'avevano portato lì da casa sua, ricordava ancora perfettamente di essersi addormentato nel suo letto. Avrebbero potuto benissimo rivoltare il suo appartamento da cima a fondo un numero imprecisato di volte prima che lui si svegliasse. Con l'affiorare di queste considerazioni Darius cercò anche di ricostruire la dimensione temporale. Quanto tempo era passato? La stanza non sembrava avere finestre, e anche se ce le avesse avute, dovevano essere state oscurate in maniera impeccabile. Impossibile stabilire l'ora in alcun modo.

<<Ripeto, ha mai parlato a qualcuno di ciò che ha visto nel settore 5 ?>> tuonò la voce metallica.

<<No>>

<<Molto bene. >>

Un attimo di pausa. Sembrava che l'uomo riflettesse sul da farsi.

<<Conosce i princìpi dei Reggenti?>>

<<Beh, più o meno... Perchè?>>

<<Una delle formule fondamentali è “ciascuno faccia la sua parte per il bene superiore, e tutti faranno il bene di tutti”>>

<<Uhm, sì, mi sembra giusto, e allora?>>

<<Bene, sono contento che lei condivida il principio, perchè la sua “parte” qui è terminata, e dunque non può essere che d' intralcio. >>

<<Cosa? Che diavolo sta dicendo?>>

<<Addio signor Greensmith>>

Un rumore secco, come di un interruttore, e la voce si spense. Darius si ritrovò a contemplare l'uomo nella penombra, ancora sconvolto dalle parole che aveva appena udito. Balzò dalla sedia, come assediato da un terribile dubbio, e si recò più vicino alla scrivania. I suoi occhi cercavano febbrili la prova dei suoi sospetti, un piccolo appiglio in quella situazione così disperatamente vaga. Le sue dita tremanti cercarono la copertura della lanterna cieca e la rimossero in un solo colpo.
Ingranaggi piccoli come la capocchia di uno spillo. Darius aveva davanti a sé un automa.
Scarlatte e circondate da raggi di luce, le iniziali del Ministero della Sapienza erano incise e dipinte sulla fronte del costrutto, a marchiarne indelebilmente l'origine.
Darius iniziava a sudare freddo. Sentiva le pungenti gocce di sudore scendergli piano piano lungo la colonna vertebrale, atterrito dalla possibilità che il suo interrogatorio non sarebbe stata l'unica cosa a finire lì, in quella stanza buia. Ad un tratto il clangore di una porta, e una lama di luce attraversarono la stanza, quasi accecando Darius.
Quattro mani forzute, coperte da guanti di spesso cuoio da lavoro lo tirarono su di peso, trascinandolo fuori. Corridoi stretti e spogli, fatti di cemento armato, labirintici. Un'altra stanza, illuminata questa volta, ma molto meno accogliente della precedente. Una macelleria.
Ganci appesi al soffitto trasportavano quarti di bue e interi maiali verso nuovi sminuzzamenti sempre più meticolosi. A terra grossi tombini raccoglievano avidi il sangue che colava a fiumi dalle carcasse, senza esserne mai sazi, come pesanti sanguisughe di ferro. Una luce chiara, diurna, filtrava dalle inferriate della macelleria, ma sembrava così distante a Darius, infinitamente irraggiungibile, ora che la sua vita stava per terminare. Il sangue umano è del tutto uguale a quello di un maiale, o di un bue, a prima vista. Nessuno si sarebbe mai accorto della differenza, una volta smaltiti gli scarti della macelleria. Darius si domandava se almeno avrebbero avuto la decenza di non tritarlo e darlo in pasto a qualcuno. Gli energumeni che lo stavano trasportando indossavano lunghi grembiuli bianchi, o che almeno una volta erano di quel colore. Ad un tratto Darius la vide: una grossa e affilata sega circolare, lucente e incorruttibile, fatta per affondare attraverso carne, cartilagini e ossa come una lama rovente nel burro. Era quella che avrebbero usato per mettere fine alla sua breve e insignificante vita di meccanico. Darius stava pensando che almeno aveva raggiunto la carica di capo meccanico, del tutto invidiabile ai suoi coetanei, quando una forte esplosione distolse la sua attenzione, sostituendo ai suoi pensieri un fischio acuto e prolungato.
La pesante porta della macelleria era stata divelta dai suoi cardini, fumo e macerie riempivano gli occhi e le gole degli astanti, quando un paio di occhiali da saldatore, grossi e tondi, si pararono davanti a Darius. Sotto agli occhiali c'erano anche un paio di baffi, delle braccia, e una persona, pensò il giovane, stordito dall'esplosione, ma non ebbe il tempo di inserire tutte queste informazioni in una domanda di senso compiuto, perchè venne subito indirizzato verso il punto in cui una volta c'era la porta, e da lì portato fuori. Un piccolo scorcio di cielo, la ruota pesante e borchiata di un macchinario industriale, e via, a tutto gas in una nuvola di fumo nero e scintille.
Darius, scosso da quel terribile susseguirsi di eventi non ebbe di meglio da fare che vomitare.
Dopo che si fu ripreso un po', si guardò attorno, riconoscendo l'interno di un furgone industriale, impiegato di solito nel trasporto di carbone. I suoi salvatori a quanto pare erano tre, quattro incluso il conducente del veicolo. Darius osservò che portavano abiti da meccanici, spessi, con finiture di ottone ed estremità rinforzate, stivali alti, robusti e sporchi, cappelli da operai, bucati e fuligginosi, occhiali più per proteggere gli occhi che per aiutare la vista. Uno di loro sembrava più gracile degli altri, benchè quegli abiti facessero sembrare chiunque almeno il doppio della sua stazza. Quello con i baffi, che aveva portato fuori Darius, si sfilò gli occhiali e si tolse il cappello.

<<Fiuu, caspita, è stata una bella sorpresa, eh?>> chiese all'uomo che aveva davanti
<<Ahah, ci puoi giurare amico, se lo ricorderanno per un po' quei figli di puttana!>>
<<Hei ragazzo, dicci un po', che si prova ad avere appena vinto un'altra chance?>>

Darius ancora un po' scosso cercò il fiato per rispondere

<<Beh, un bel sollievo direi>>
<< Ahah, sante parole figliolo!>>

Il gracile si tolse a sua volta occhialoni e cappello: era una ragazza. Una lunga massa di capelli ondulati e neri come il carbone ricadde sulle sue spalle. Un paio di occhi azzurri, carichi di energia, ma penetranti come elettro-lance si fissarono su Darius.

<<E così tu saresti Darius, il sostituto del capo meccanico?>>

<<Sì, sono io, ma non mi sono certo offerto volontario.>>

<<Non me ne importa un cavolo se sei un volontario o no, siamo tutti in questa merda per una decisione del Fato, no di certo perchè ce lo siamo scelto noi.>>

<<Non so nemmeno chi siate, stavo solo specificando, dato che ultimamente ho dovuto fare parecchia attenzione alle parole che mi escono di bocca.>>

<<Beh, se non vuoi che ti riportiamo ai tuoi aguzzini allora ti consiglio di continuare su quell'andazzo>>

Darius si sentiva offeso. Ciò a cui era sopravvissuto aveva dell'incredibile, e questa sputa-sentenze non aveva nulla di meglio da fare che farlo sentire un verme.
Il baffone si mise a parlare, cercando di placare gli animi.

<<Hey, vediamo di non perdere la calma, mi sembra che siamo tutti parecchio nervosetti qui. La situazione è bollente, e probabilmente il nostro amico qui non ha idea di quello che sta succedendo.
Prima di tutto devi sapere che se ti abbiamo salvato, è solo perchè odiamo più di ogni altra cosa il Ministero della Sapienza, e tu sembravi un bel problema per loro, tanto da scomodare i reparti speciali del Ministero della Non-Congruenza per prelevarti. Il tuo lavoro deve averli in qualche modo ostacolati, e siamo tutt'orecchi per sapere da te che diavolo stessi facendo. Noi siamo tutti ex-meccanici, manovali, gente comune, tutti mossi da un obiettivo solo: giustizia. Facciamo tutti parte di un' organizzazione clandestina che combatte ormai da mesi contro il sistema dei Ministeri e la Sofocrazia in generale. In parole povere siamo cittadini, incazzati neri, e con una tale dose di esplosivi e armi non-convenzionali da poter essere uditi sino dall'ultima spira del Palazzo dei Reggenti.>>

A questo punto il Baffo si infilò una mano nella tasca interna del giaccone per estrarne una fiaschetta di liquore da cui tracannò qualche sorso, come per scacciare la solennità con cui aveva pronunciato quell'ultima frase, e cadde nel silenzio.

<<Merda, ora capisco che intendeva la Bolton per “fortunato” quando parlava del capo meccanico>>

Darius si ritrovò la canna di un saldatore elettrico ad alto voltaggio tra i denti.
I capelli scarmigliati della ragazza la facevano sembrare una furia nel suo moto d'ira così rapido e istintivo.

<<Prova un'altra volta a dire che mio padre è stato “fortunato” e ti friggo le cervella, lurido bastardo!>> la ragazza inveì contro Darius.

<<Tuo padre? … Mi dispiace, non lo sapevo. Sono stato dove è successo, e so che deve essere stato terribile. Conoscevo tuo padre solo di fama, non parlava certo con le matricole come me, ma mi è sempre sembrato un uomo onesto. Riposi in pace>>

All'udire quelle parole la furia della ragazza sembrò incrinarsi in una miriade di frammenti, ed esplose in un pianto sommesso, mentre la ragazza si rimetteva a sedere contro la paratia del veicolo.

<<C'è altro che devo sapere? Magari uno di voi è il figlio di un Reggente, o qualcosa di simile>>
sbottò Darius contro il Baffo con risentimento per aver tralasciato quell'informazione fondamentale.

<<No, non per ora, almeno. Fra poco arriveremo al quartier generale della Ruggine, e lì ti saranno date tutte le spiegazioni di cui hai bisogno.>>

<<La Ruggine? E che diavolo sarebbe?>>

<<La Ruggine siamo noi, ragazzo, il peggior nemico dell'ingranaggio.>>