Dopo l'esperienza di Work In Progress, ci riprovo. Questa volta è un racconto thriller/horror, dal titolo...
Show Time!
http://www.theincipit.com/2013/06/show-time-dystopico/
Pecore Elettriche
Storie, racconti e deliri di ogni genere da aspiranti scrittori della Martesana.
giovedì 13 giugno 2013
martedì 21 maggio 2013
Un vecchio progetto ritrovato...(5)
Doni inaspettati
Quartier generale della Ruggine
7.00
La cuccetta riservata a Darius era
piccola, umidiccia, e leggermente sporca, ma al ragazzo tutto ciò
non importava. Per la prima volta nella sua vita si sentiva parte di
qualcosa. Sentiva di essere importante per qualcuno, per qualche fine
superiore, sebbene non sapesse bene quale.
<<Hey, Demo-coso, è tempo di
rendersi utili! Porta il tuo culo qui in basso!>> Tuonò il
vocione del Baffo dal piano inferiore. Darius si alzò dalla branda
scricchiolante che gli avevano assegnato e si diresse dove glie era
stato chiesto. Ad accoglierlo c'era il Baffo, come previsto,
accompagnato però da un ragazzino spelacchiato, poco più che
quindicenne probabilmente. Quest'ultimo reggeva una grossa e pesante
cassa di armamenti e munizioni di ogni genere.
<<Hey, ragazzo! Questo è Zack,
mio figlio, e quello che regge in mano è il tuo prossimo impiego qui
alla Ruggine. Se vuoi rimanere qui devi renderti utile, come tutti
gli altri. Andiamo a fare di te un cecchino, avanti!>>
<<Piacere, signor Demo>>
Squittì il piccolo da sotto la pila di armi.
Prima che Darius potesse replicare
alcunchè, si ritrovò con una carabina ad aria compressa fra le mani
e un manichino di paglia davanti. Nonostante il nome, un proiettile
della carabina era capace di perforare il cranio di un uomo piuttosto
cocciuto a circa 60 metri di distanza, il che ne faceva un'arma
decisamente letale.
<<Ok, ragazzo, questa, come avrai
notato, è una carabina ad aria compressa: un gran pezzo di arma, se
me lo chiedi. Prima di tutto devi sapere che le carabine di questo
genere hanno un vantaggio enorme sulle altre armi convenzionali:
possono sparare qualunque cosa passi dalla loro canna. Non è una
carica esplosiva a fare il botto, e questo le rende anche molto più
silenziose di una carabina normale. L'unica pecca è che devi
caricare ad ogni singolo colpo, e in una situazione piuttosto agitata
non è il massimo, ma ci farai l'abitudine.>>
<<Aspetta un attimo, intendi dire
che è un'arma a colpo singolo? Come un moschetto o una di quelle
cose di migliaia di anni fa?>>
<<Esattamente. I moschetti li userai più in là però; ci vuole una particolare perizia per adoperare quelli.>>
<<Esattamente. I moschetti li userai più in là però; ci vuole una particolare perizia per adoperare quelli.>>
<<Ma è roba da matti, è come
combattere un elefante armato di uno stuzzicadenti! Quelli del
ministero della Non-Congruenza hanno fucili al plasma e carabine a
termite, lance al fosforo e chissà cos'altro! >>
<<Oi, chiudi quella boccaccia,
piccola pulce! Non hai idea di ciò che si può fare con quello che
abbiamo qui. Il nostro punto forte è, ed è sempre stato, riuscire a
fare cose inimmaginabili per chiunque con quello che abbiamo a
disposizione, che molto spesso, quando è qualcosa, è merda.
Io ti farò fare miracoli, ragazzo mio,
non hai nemmeno idea di ciò che sarai capace di fare quando avrò
finito con te!>>
Darius tacque. Quello scoppio d'ira da
parte del Baffo lo aveva lasciato senza parole. Era come se fosse
affezionato a quel mucchio di ferraglia che si ostinava a chiamare
armi.
Rassegnandosi Darius imbracciò la
carabina, e tentò di sparare al bersaglio. Il Baffo subito lo
corresse, aggiustandogli la posizione dei piedi e delle spalle. Il
calcio della carabina andava piazzato in un punto ben preciso, o il
rinculo del grosso pistone che si intravedeva sul lato gli avrebbe
rotto una clavicola. Di fianco a lui, con un bersaglio analogo, si
stava esercitando il piccolo Zack, con una carabina identica alla
sua, ma con risultati decisamente sbalorditivi. Ogni colpo andava a
segno, perforando e smembrando una parte diversa del manichino, o
sempre la stessa, a seconda del capriccio del ragazzo. Ora Darius si
sentiva perso, e decisamente incapace.
Il ragazzino mirava, sparava e
ricaricava con la stessa naturalezza con cui mangiava la sbobba che
servivano alla mensa del quartier generale. Ogni tanto, rendendosi
conto di invisibili cambiamenti al suo rendimento, aggiustava una
vite, o modificava qualche pezzo del fucile in maniera
impercettibile, in modo da mantenere quella infallibile precisione
che caratterizzava ogni suo sparo.
Darius riusciva sì e no a colpire il
bersaglio.
<<Come te la cavi, Demo? Chiese
il Baffo con fare scherzoso, perfettamente consapevole della
superiorità di suo figlio in confronto a lui.>>
<<Diciamo che qualcuno qui è
partito con un po' di vantaggio>> Rispose di rimando Darius.
<<Un po' di pratica e sarò anche
meglio di lui, basta solo avere un po' di pazienza>>
A quel punto un pezzo del corpo
principale della carabina di Darius si staccò di netto, e rotolò a
terra, come a sottolineare quanto incredibili suonavano le parole di
Darius.
<<Ahah, Darius, ragazzo mio, hai
ancora molto da imparare!>> Disse il Baffo con una fragorosa
risata.
A quel punto successe l'incredibile. Una strana luce brillò per un solo istante negli occhi di Darius.
Una piccola pacca su un angolo del
fucile ed esso cadde in pezzi, smontato in ogni suo piccolo
componente. Cinque minuti dopo Darius reggeva in mano un nuovo
oggetto. Aveva una canna corta, la metà di quella di un fucile,
un'impugnatura insolitamente lunga, e una sorta di scatola, che
fungeva da rudimentale caricatore sul lato. Darius la puntò verso il
manichino, e premette il grilletto. Una raffica di proiettili
crivellò il bersaglio, lasciando solo una nube indistinta di paglia
e brandelli al suo posto.
<<WOHA! Ragazzo, che diavolo hai
fatto a quel fucile?>>
<<Non saprei davvero... Per un
attimo tutto mi era chiaro, ed ero certo di ciò che facevo, ma ora
mi sembra di non ricordare più nulla. Suppongo di averlo reso più
adatto a me. Non sono un grande cecchino a quanto pare...>>
Rispose Darius imbarazzato e stupito.
<<Demo, per quanto mi riguarda,
se continui così puoi avere tutto l'arsenale a disposizione...
Dannazione, guarda in che stato hai ridotto quel bersaglio!>>
Di tutti Darius era il più stupito.
Fino ad allora gli era capitato di smontare parecchie cose, di solito
per errore, ma non era mai riuscito a ricostruirne una, e tantomeno a
modificarla migliorandola.
Aveva percepito una strana sensazione,
un' improvvisa chiarezza in tutto ciò che faceva. Una sensazione di
appropriatezza, come se tutti i pezzi rispondessero ai suoi comandi e
bisogni, una fusione totale con ciò che stava facendo.
Il Baffo concesse il resto della
giornata a Darius per chiarirsi le idee e capire che cosa aveva fatto
nel poligono di tiro per replicarlo eventualmente su altre carabine.
Darius cercava di ripensare a ciò che aveva fatto, ma non riusciva.
Era come se gli mancasse l'ispirazione, come se qualcosa di
intangibile non ci fosse più. Il momento, l'occasione, le
circostanze: Darius non sapeva che cosa aveva innescato quella sua
stramba reazione.
Nel pomeriggio incrociò di nuovo la
ragazza con cui si era accapigliato nel convoglio che lo aveva
portato alla Ruggine, la figlia dell'ex capo-meccanico. Indossava una
salopette sporca di grasso e di un colore quasi indefinibile da
quanto era sudicia, e portava i capelli legati, perchè non le
impedissero la vista. I guanti da meccanico e una pesante chiave
inglese indicavano che stava lavorando a qualcosa, e Darius decise di
cogliere l'occasione per fare pace con lei scusandosi e offrendo i
suoi servigi.
<<Che diavolo vuoi, buono a
nulla?>> Fu il saluto della ragazza.
<<Hei, ciao, senti, so che ti
devo le mie scuse. Non sapevo che l'ex capo-meccanico fosse tuo
padre, altrimenti avrei parlato in modo diverso.>>
<<Ah, questo è poco ma sicuro>>
<<In ogni caso che stai facendo?
Ti potrei dare una mano...>>
<<Ahah, un incapace come te? Ne
dubito... A meno che tu non sappia qualcosa di motori.>>
<<Beh, dimentichi che, anche se
in modo anomalo, sono stato assegnato alla carica di capo-meccanico,
quindi qualcosa devo sapere per forza. Lasciami dare un'occhiata, non
si sa mai.>>
<<Fai pure, dopo di te. Non vedo
l'ora di sapere che cosa pensi di fare con quella chiave serratubi
che hai appena tirato su. Avanti, stupiscimi!>>
Darius si abbassò, e guardò
attentamente il motore, sperando fortemente per la sua dignità che
il suo cervello se ne venisse fuori con qualcosa di fenomenale, e lo
cavasse da quell'impaccio. Il suo cervello era un tipo spiritoso
apparentemente, perchè lo lasciò sulle spine per 10 minuti buoni,
in cui armeggiò senza un paricolare scopo con gli ingranaggi del
motore, prima di sentire la stessa sensazione di quella mattina.
Le sue mani procedevano senza indugio, smontando pezzi, riavvitandoli e combinandoli assieme. Chiese qualche pezzo supplementare, ebbe bisogno di nuovi attrezzi, ma il risultato fu sbalorditivo.
Il motore che aveva messo assieme in qualche ora aveva il doppio della potenza e la metà del consumo. Aveva una notevole gamma di utilizzi e applicazioni, e adesso, grazie al suo intervento, poteva sostenere carichi e temperature molto maggiori senza fondersi.
La ragazza era rimasta a bocca aperta durante dutto il processo, da quando aveva iniziato a capire dove voleva andare a parare Darius a quando lui aveva completato il suo intervento facendole scoprire di non aver capito nulla.
Le sue mani procedevano senza indugio, smontando pezzi, riavvitandoli e combinandoli assieme. Chiese qualche pezzo supplementare, ebbe bisogno di nuovi attrezzi, ma il risultato fu sbalorditivo.
Il motore che aveva messo assieme in qualche ora aveva il doppio della potenza e la metà del consumo. Aveva una notevole gamma di utilizzi e applicazioni, e adesso, grazie al suo intervento, poteva sostenere carichi e temperature molto maggiori senza fondersi.
La ragazza era rimasta a bocca aperta durante dutto il processo, da quando aveva iniziato a capire dove voleva andare a parare Darius a quando lui aveva completato il suo intervento facendole scoprire di non aver capito nulla.
<<Che diavolo hai fatto? Se eri
così bravo perchè non l'hai detto subito?>>
<<Eh, il problema è che non lo
sapevo fino a stamattina>> disse Darius, grattandosi la nuca
con finta modestia.
<<E in ogni caso sono solo eventi
dettati dal caso e dall'occasione>> spiegò il ragazzo, dando
la versione dei fatti che gli sembrava calzare meglio gli ultimi
eventi.
<<Beh, speriamo in altre di
queste illminazioni allora. In ogni caso penso che sia ora di fare
delle presentazioni adeguate. Il mio nome è Rebecca, ma prova a
chiamarmi in quel modo e ti ritrovi un occhio nero. Quelli che
vogliono rimanere illesi mi chiamano Becky.>>
<<Io sono Darius, detto anche
Demo dai miei colleghi, per la mia capacità di demolire qualsiasi
cosa tocchi. Penso che però quel nome stia diventando in qualche
modo inappropriato ultimamente.>>
giovedì 2 maggio 2013
Un vecchio progetto ritrovato... (4)
Ordini dall'alto
Sala del trono
<<Che cosa vuoi, Peters?>>
<<Temo che ci sia stato un
problema nel Ministero della Non-Congruenza. Il prigioniero Darius
Greensmith è riuscito a scappare.>>
<<Greensmith? Non è quello che
sei anni fa provò a ficcare il naso nell'affare del settore numero 5
?>>
<<Sì, signore, corrisponde.>>
Il reggente aveva un'aria stanca.
Quattrocento anni di governo pesavano sulle sue spalle di platino,
frutto dell'ultima ricerca sulle protesi umane ad Atlantide. Il
reggente era da sempre simbolo di grande prosperità e ricchezza, ed
era per questo che si faceva letteralmente “di tutto” per
preservarlo nella sua integrità (almeno quella fisica). Al momento
appariva come un'elegante accozzaglia di lamine di ottone, oro e
platino, che ricoprivano parzialmente il lavoro di fine orologeria al
di sotto. Sprofondò nella poltrona di cuoio rosso, adeguatamente
imbottita, continuando a fissare Peters con un certo disgusto misto a
noia.
<<Peters, che stai facendo ancora
lì?>>
<<Signore?>>
<<Hai perso un prigioniero, santo
cielo, e uno dei più importanti per giunta, che ti aspetti che ti
ordini?>>
<<Signore, vado subito a
sistemare tutto. Verrà riacchiappato al più presto>>
Il Reggente tacque. Il suo volto
sembrava implorare pietà al cospetto degli anni. Girò la poltrona
verso la grande vetrata che dava sulla città. Guglie, pinnacoli,
comignoli fumanti, ciminiere, un glorioso tramonto offuscato dal
vapore e dal fumo delle fabbriche. Atlantide era cresciuta molto
durante il suo governo. Ricordava ancora quando, al suo insediamento,
riusciva a vedere dalla sua finestra i confini della città. Ora quei
confini erano ben al di là delle sua capacità visive, sebbene
avesse protesi telescopiche impiantate in entrambe le orbite.
Si avvicinò ad uno scaffale ripieno di strambi soprammobili, e con un sospiro ne afferrò uno. Era un piccolo e sottile parallelepipedo nero. Una volta quel suo pulsante centrale doveva aver avuto una funzione, ma ora era semplicemente un inerte blocchetto di ferraglia inutile. Sulle mensole dello scaffale c'erano oggetti simili, tutti classificati secondo la loro funzione primaria. Erano stati reperiti tutti durante il suo governo, dalla colonia-esperimento.
Sulla colonia la tecnologia, negli
ultimi 100 anni, aveva fatto un balzo gigantesco rispetto a quella di
Atlantide, diversificando i suoi interessi e prendendo una strada
diversa, microscopica, così poco elegante e raffinata che al
Reggente veniva il voltastomaco solo a pensarci. Ad Atlantide,
grazie ai sofocrati, il vapore, l'ottone, e i sacri principi
rimanevano inviolati. Non si sarebbero mai visti scempi del genere
lì. Nostalgico il reggente si sedette ad un piccolo tavolino con un
elaborato grammofono sopra. Aveva un numero inspiegabile di trombe, e
funzionava a molla, come i migliori della categoria. Prese un vecchio
e polveroso disco nero dalla mensola, e dopo averlo ripulito lo pose
sul piatto.
<< bzzz …. Mr Watson, come
here, I want to see you bzzz...Mr Watson, come here, I want to see
you bzzz …. Mr Watson, come here, I want to see you>>
Era una registrazione un po'
vecchiotta, di più di un secolo prima, ma serviva al reggente a
ricordare quando gli abitanti della colonia si erano discostati dalla
verità, ed avevano infranto i sacri principi per sviluppare
marchingegni privi di armonia, del tutto inappropriati e blasfemi.
Il Reggente prese una penna stilografica e chiudendo gli artigli di ottone attorno ad essa si mise a scrivere su un pezzo di carta.
Ordini per i Ministeri.
Una volta spedito quel messaggio il Ministero delle Cose Materiali, e in particolare la Gilda dei Meccanici, si sarebbero impegnati a distruggere ogni prova dell'esistenza della matricola promossa a capo meccanico conosciuta come Darius Greensmith detto “Demo”. Il Ministero della Non-Congruenza si sarebbe adoperato per aumentare il numero di pattuglie nelle strade, e soldati dotati di apparecchi detti “Otto-orecchie”, per origliare i discorsi in un raggio di qualche decina di metri , oltre a pubblicare volantini per la cattura di Darius (senza ovviamente nessun nome o cognome), basandosi sul suo volto attuale, promettendo una lauta ricompensa. Il Ministero della Sapienza avrebbe iniziato ad elaborare una strategia per usare Darius, una volta catturato, per strappargli ogni più microscopica informazione a proposito della Ruggine, e possibilmente, per usare egli stesso contro l'organizzazione.
Una volta spedito quel messaggio il Ministero delle Cose Materiali, e in particolare la Gilda dei Meccanici, si sarebbero impegnati a distruggere ogni prova dell'esistenza della matricola promossa a capo meccanico conosciuta come Darius Greensmith detto “Demo”. Il Ministero della Non-Congruenza si sarebbe adoperato per aumentare il numero di pattuglie nelle strade, e soldati dotati di apparecchi detti “Otto-orecchie”, per origliare i discorsi in un raggio di qualche decina di metri , oltre a pubblicare volantini per la cattura di Darius (senza ovviamente nessun nome o cognome), basandosi sul suo volto attuale, promettendo una lauta ricompensa. Il Ministero della Sapienza avrebbe iniziato ad elaborare una strategia per usare Darius, una volta catturato, per strappargli ogni più microscopica informazione a proposito della Ruggine, e possibilmente, per usare egli stesso contro l'organizzazione.
Il Reggente finì di scrivere, fece
asciugare il foglio, lo arrotolò, lo inserì in una capsula, e
infine lo spedì attraverso la posta pneumatica alla sua segreteria.
Meditabondo si lasciò ricadere sulla
poltrona, e si mise a pensare al futuro. Che cosa avrebbero fatto
quelli della Ruggine con il meccanico? Che cosa sapeva?
Il ragazzo era un semplice operaio, non
poteva avere così tanto acume da arrivare ad una conclusione così
vicina alla Verità. Con l'aiuto della Ruggine però aveva la
possibilità di andarci molto vicino, e questo andava evitato a tutti
i costi.
Il ragazzo non sarebbe mai arrivato a
scoprire la verità, mai. Ne andava del suo futuro, di quello di
Atlantide, e probabilmente dell'intera umanità. Il ragazzo andava
fermato in ogni modo possibile. La Verità doveva essere preservata.
martedì 23 aprile 2013
Alba
Camminavano,
mano nella mano, sulla spiaggia. Il sole stava iniziando a bagnarsi nel mare,
colorando il cielo di sfumature arancioni e le poche nuvole presenti di rosa.
Julia aveva scelto quel posto perché voleva che quelli che potevano essere gli
ultimi momenti in cui vedere la persona a cui teneva di più al mondo fossero
indimenticabili.
Passeggiavano,
parlando del più e del meno, ridendo ognuna delle battute dell’altra, senza
preoccuparsi del giorno seguente. Ma bastò una battuta di troppo e un silenzio
inquietante scese tra le due.
Julia lasciò
la mano della compagnasi allontanò di qualche metro, stringendosi a sé
guardando un punto lontano.
-Non voglio,
Sarah… non voglio- disse
-Sai che
vorrei rimanere, ma non posso- rispose Sarah avvicinandosi alla compagna.
Julia si
girò di scatto, guardando l’altra negli occhi -Sai che se non dovessi tornare,
non potrei mai perdonarti, vero?-
Sarah
abbassò lo sguardo, non voleva che la paura per quella eventualità fosse
evidente nei suoi occhi. --Non
dire così…- disse provando a rassicurare sia Julia che se stessa -Se ti fa
sentire meglio, posso prometterti che ci rivedremo-
Julia era
sull’orlo delle lacrime ma rispose convinta -Promettimelo-
-Ti prometto
che ci rivedremo- disse Sarah dolcemente, abbracciando Julia. Rimasero così per
qualche minuto: Sarah che stringeva forte Julia che non era riuscita a
trattenere le lacrime e piangeva sommessamente.
Il sole, nel
frattempo, era calato sempre di più.
Fu Sarah a
staccarsi dall’abbraccio e a dire -Devo andare-, senza avere però il coraggio
di guardare Julia negli occhi. Si allontanò senza voltarsi, per paura di vedere
il volto sofferente della compagna. Raccolse il borsone con la scritta U.S.
ARMY da terra e si diresse verso la jeep che la stava aspettando. Il conducente
non disse nulla durante il viaggio alla base militare ma sapeva benissimo cosa
doveva provare quella novellina: La prima
volta è dura per tuttipensò mentre si avvicinava alla base.
Julia rimase
sulla spiaggia, senza nemmeno tentare di fermare le lacrime.
Il sole
scomparve nel mare.
Erano
passati ormai tre mesi da quando Sarah era partita per la missione in Medio
Oriente. Julia era seduta in salotto, tenendo tra le mani una foto di loro due.
Sarah aveva ancora i capelli lunghi, come prima della sua entrata
nell’esercito. Anche se mancava poco all’alba, lei era già sveglia da un pezzo
ed era rimasta lì, con la foto in mano: non riusciva a dormire bene da quel
fatidico giorno, nemmeno ora.
Sentì
bussare alla porta e a malincuore ripose l’immagine sul tavolino ed andò ad
aprire.
-Una
promessa è una promessa- sentì prima di riconoscere il viso di Sarah sulla
soglia. Julia sentì le lacrime uscire dagli occhi mentre si gettava tra le
braccia della compagna. -Sapevo che saresti tornata- disse un istante prima di
baciare Sarah. -Lo sapevo…- ripeté discostandosi ma rimanendo abbracciata.
lunedì 22 aprile 2013
Paradise Lost
Vorrei fare una piccola premessa, se mi è concesso.
Innanzitutto vorrei dirvi che questa, come molte altre, se non la totalità, delle storie che ho scritto, è nata inizialmente come fantasia scaturita da una canzone. Quella di questo brano è, sorpresa sorpresa, paradise lost dei Symphony X.Inoltre voreri avvisarvi che quella che state per leggere è, credo, la prima vera "storia" che io abbia mai scritto con intenzione. Quelle precedenti erano solo testi, più che altro temi o compiti a casa. Questa... Diciamo pure che è la mia nascita, la mia morte, la mia condanna.
Ci sono stati giorni in cui ho maledetto quell'istante in cui ho deciso di scrivere le poche righe che seguono, giorni in cui scrivere mi sembrava un dolore più che un piacere.
So... yeah, enjoy.
Innanzitutto vorrei dirvi che questa, come molte altre, se non la totalità, delle storie che ho scritto, è nata inizialmente come fantasia scaturita da una canzone. Quella di questo brano è, sorpresa sorpresa, paradise lost dei Symphony X.Inoltre voreri avvisarvi che quella che state per leggere è, credo, la prima vera "storia" che io abbia mai scritto con intenzione. Quelle precedenti erano solo testi, più che altro temi o compiti a casa. Questa... Diciamo pure che è la mia nascita, la mia morte, la mia condanna.
Ci sono stati giorni in cui ho maledetto quell'istante in cui ho deciso di scrivere le poche righe che seguono, giorni in cui scrivere mi sembrava un dolore più che un piacere.
So... yeah, enjoy.
***
L’ultima
cosa che vedo è il sole. Quel sole che ha brillato sulle nostre teste, sulle
nostre vite.
Su di noi.
Noi, angeli
del paradiso, condannati ad una vita di amore reciproco con tutti… ma con te è
stato diverso.
Sin da
quando ti ho vista la prima volta, ho capito che non eri un angelo: eri di più.
Talmente bella da farmi cambiare idea sul concetto di amore, da farmi pensare a
trasgredire a leggi millenarie, che esistono dalla notte dei tempi.
Idee
blasfeme, punite con la morte.
Perché anche
gli angeli possono morire, gioire, soffrire. Ma senza di te, io soffrivo come
non mai, come mai nella mia vita abbia mai fatto.
E quel
giorno fatale, quel giorno in cui decisi di trasgredire tutte le regole… lo
ricordo con felicità. Quella mattina grigia, fredda, in cui te eri già sveglia
e già viva, sulla strada fuori dalla città. Avevo pianificato tutto: la tua
caduta, il mio intervento, il mio aiuto…
Il tuo
sorriso.
No, questo
non l’avevo calcolato: quel tuo sorriso così spontaneo, genuino, bello, che mai
ti avevo visto rivolgere a qualcuno. Tu mi hai preso la mano che ti avevo
porto con quel sorriso, quel maledetto sorriso… tutti i miei piani sono andati
a monte, ho seguito l’istinto:
ti ho
baciata.
Un bacio
così passionale, così improvviso, ma non per te. Tu lo hai ricambiato,
rendendoti complice di un reato peggiore del tradimento: l’amore unico, per
giunta tra donne. Quando ho capito la gravità di quel gesto, era troppo tardi,
anche per tornare indietro. Così abbiamo continuato a vederci. Mi piaceva, ti
piaceva, CI piaceva l’idea di stare insieme, senza impegni, sempre con il
timore di essere scoperte. I primi tempi eravamo inesperte, timide, ancora un
po’ diffidenti l’una dell’altra, ma con il passare dei giorni all’innocenza è
subentrata la passione
La nostra
rovina.
Quel giorno
eravamo semplicemente assieme sotto a quell’albero, il nostro albero, l’unico
testimone dell’inizio della nostra storia, a godere della presenza dell’altra
con qualche sporadico bacio innocente… forse uno di troppo. Eravamo troppo
prese da noi stesse per preoccuparci di coloro che stavano guardando proprio
nella nostra direzione. Quando lo raccontarono al tribunale, sapevamo entrambe
che era finita.
Il nostro
sogno si era concluso così.
Ma io non
avrei mai sopportato di vederti morire… così mi sono fatta avanti per
proteggerti, nonostante sapessi che tu non avresti voluto. Ho confessato tutto,
ho mentito, ho pregato, ho pianto per salvarti.
Ed alla fine
ce l’ho fatta.
Sei stata
graziata, sei stata messa al bando e fatta ritornare sulla Terra, ma almeno sei
viva. Io invece sto pagando la tua, la NOSTRA, libertà. Mentre mi avvicino alla
scure, non una lacrima riga il mio viso, se non appena prima dell’attimo
fatale: non per tristezza, ma per te che hai dovuto pagare così tanto per la
mia decisione.
L’ultima
cosa che vedo è il sole.
So che tu ci sei. E sempre ci sarai.
Chiudo gli
occhi, la lacrima mi cade.
domenica 21 aprile 2013
Work in Progress, Capitolo 6
Nuovo capitolo per il mio lavoro su THe iNCIPIT!
http://www.theincipit.com/2013/03/work-in-progress-dystopico/6/
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venerdì 19 aprile 2013
Un vecchio progetto ritrovato... (3)
Sangue e Ruggine
<<Darius Greensmith, 22 anni, residente ad Atlantide da 12, esatto?>>
<<Esatto, ma lei chi è? E dove
sono? Come ci sono arrivato qui?>>
<<Si calmi per favore, otterrà
tutte le risposte a tempo debito. Lei è stato incaricato di
sistemare il guasto al settore 5, esatto?>>
<<Sì, ma questo che c'entra?>>
Di colpo Darius iniziò a capire che
l'affare in cui si era cacciato era più grande persino di quello che
pensava. La preoccupazione di un'implicazione nelle indagini di un
omicidio non lo sfiorava nemmeno, ora che presentiva le dimensioni
della faccenda.
La voce dell'uomo sembrava provenire da
molto lontano, come se fosse riprodotta da un altoparlante. Eppure
l'uomo era lì, intangibile e indistinguibile; una silhouette appena
accennata a pochi metri da lui.
<<Dica, Darius, ha detto a nessun
altro di ciò che ha visto al settore 5?>>
<<Cosa? Che dovrei aver visto?>>
<<Abbiamo frugato il suo
appartamento, quindi non menta. Sappiamo che è a conoscenza di fatti
importanti, in cui non dovrebbe aver ficcato il naso.>>
<<Ah...>>
Come aveva fatto a non pensarci? In fondo l'avevano portato lì da casa sua, ricordava ancora perfettamente di essersi addormentato nel suo letto. Avrebbero potuto benissimo rivoltare il suo appartamento da cima a fondo un numero imprecisato di volte prima che lui si svegliasse. Con l'affiorare di queste considerazioni Darius cercò anche di ricostruire la dimensione temporale. Quanto tempo era passato? La stanza non sembrava avere finestre, e anche se ce le avesse avute, dovevano essere state oscurate in maniera impeccabile. Impossibile stabilire l'ora in alcun modo.
<<Ripeto, ha mai parlato a
qualcuno di ciò che ha visto nel settore 5 ?>> tuonò la voce
metallica.
<<No>>
<<Molto bene. >>
Un attimo di pausa. Sembrava che l'uomo
riflettesse sul da farsi.
<<Conosce i princìpi dei
Reggenti?>>
<<Beh, più o meno... Perchè?>>
<<Una delle formule fondamentali
è “ciascuno faccia la sua parte per il bene superiore, e tutti
faranno il bene di tutti”>>
<<Uhm, sì, mi sembra giusto, e
allora?>>
<<Bene, sono contento che lei
condivida il principio, perchè la sua “parte” qui è terminata,
e dunque non può essere che d' intralcio. >>
<<Cosa? Che diavolo sta
dicendo?>>
<<Addio signor Greensmith>>
Un rumore secco, come di un
interruttore, e la voce si spense. Darius si ritrovò a contemplare
l'uomo nella penombra, ancora sconvolto dalle parole che aveva appena
udito. Balzò dalla sedia, come assediato da un terribile dubbio, e
si recò più vicino alla scrivania. I suoi occhi cercavano febbrili
la prova dei suoi sospetti, un piccolo appiglio in quella situazione
così disperatamente vaga. Le sue dita tremanti cercarono la
copertura della lanterna cieca e la rimossero in un solo colpo.
Ingranaggi piccoli come la capocchia di
uno spillo. Darius aveva davanti a sé un automa.
Scarlatte e circondate da raggi di luce, le iniziali del Ministero della Sapienza erano incise e dipinte sulla fronte del costrutto, a marchiarne indelebilmente l'origine.
Scarlatte e circondate da raggi di luce, le iniziali del Ministero della Sapienza erano incise e dipinte sulla fronte del costrutto, a marchiarne indelebilmente l'origine.
Darius iniziava a sudare freddo.
Sentiva le pungenti gocce di sudore scendergli piano piano lungo la
colonna vertebrale, atterrito dalla possibilità che il suo
interrogatorio non sarebbe stata l'unica cosa a finire lì, in quella
stanza buia. Ad un tratto il clangore di una porta, e una lama di
luce attraversarono la stanza, quasi accecando Darius.
Quattro mani forzute, coperte da guanti di spesso cuoio da lavoro lo tirarono su di peso, trascinandolo fuori. Corridoi stretti e spogli, fatti di cemento armato, labirintici. Un'altra stanza, illuminata questa volta, ma molto meno accogliente della precedente. Una macelleria.
Quattro mani forzute, coperte da guanti di spesso cuoio da lavoro lo tirarono su di peso, trascinandolo fuori. Corridoi stretti e spogli, fatti di cemento armato, labirintici. Un'altra stanza, illuminata questa volta, ma molto meno accogliente della precedente. Una macelleria.
Ganci appesi al soffitto trasportavano
quarti di bue e interi maiali verso nuovi sminuzzamenti sempre più
meticolosi. A terra grossi tombini raccoglievano avidi il sangue che
colava a fiumi dalle carcasse, senza esserne mai sazi, come pesanti
sanguisughe di ferro. Una luce chiara, diurna, filtrava dalle
inferriate della macelleria, ma sembrava così distante a Darius,
infinitamente irraggiungibile, ora che la sua vita stava per
terminare. Il sangue umano è del tutto uguale a quello di un maiale,
o di un bue, a prima vista. Nessuno si sarebbe mai accorto della
differenza, una volta smaltiti gli scarti della macelleria. Darius si
domandava se almeno avrebbero avuto la decenza di non tritarlo e
darlo in pasto a qualcuno. Gli energumeni che lo stavano trasportando
indossavano lunghi grembiuli bianchi, o che almeno una volta erano di
quel colore. Ad un tratto Darius la vide: una grossa e affilata sega
circolare, lucente e incorruttibile, fatta per affondare attraverso
carne, cartilagini e ossa come una lama rovente nel burro. Era quella
che avrebbero usato per mettere fine alla sua breve e insignificante
vita di meccanico. Darius stava pensando che almeno aveva raggiunto
la carica di capo meccanico, del tutto invidiabile ai suoi coetanei,
quando una forte esplosione distolse la sua attenzione, sostituendo
ai suoi pensieri un fischio acuto e prolungato.
La pesante porta della macelleria era stata divelta dai suoi cardini, fumo e macerie riempivano gli occhi e le gole degli astanti, quando un paio di occhiali da saldatore, grossi e tondi, si pararono davanti a Darius. Sotto agli occhiali c'erano anche un paio di baffi, delle braccia, e una persona, pensò il giovane, stordito dall'esplosione, ma non ebbe il tempo di inserire tutte queste informazioni in una domanda di senso compiuto, perchè venne subito indirizzato verso il punto in cui una volta c'era la porta, e da lì portato fuori. Un piccolo scorcio di cielo, la ruota pesante e borchiata di un macchinario industriale, e via, a tutto gas in una nuvola di fumo nero e scintille.
La pesante porta della macelleria era stata divelta dai suoi cardini, fumo e macerie riempivano gli occhi e le gole degli astanti, quando un paio di occhiali da saldatore, grossi e tondi, si pararono davanti a Darius. Sotto agli occhiali c'erano anche un paio di baffi, delle braccia, e una persona, pensò il giovane, stordito dall'esplosione, ma non ebbe il tempo di inserire tutte queste informazioni in una domanda di senso compiuto, perchè venne subito indirizzato verso il punto in cui una volta c'era la porta, e da lì portato fuori. Un piccolo scorcio di cielo, la ruota pesante e borchiata di un macchinario industriale, e via, a tutto gas in una nuvola di fumo nero e scintille.
Darius, scosso da quel terribile
susseguirsi di eventi non ebbe di meglio da fare che vomitare.
Dopo che si fu ripreso un po', si
guardò attorno, riconoscendo l'interno di un furgone industriale,
impiegato di solito nel trasporto di carbone. I suoi salvatori a
quanto pare erano tre, quattro incluso il conducente del veicolo.
Darius osservò che portavano abiti da meccanici, spessi, con
finiture di ottone ed estremità rinforzate, stivali alti, robusti e
sporchi, cappelli da operai, bucati e fuligginosi, occhiali più per
proteggere gli occhi che per aiutare la vista. Uno di loro sembrava
più gracile degli altri, benchè quegli abiti facessero sembrare
chiunque almeno il doppio della sua stazza. Quello con i baffi, che
aveva portato fuori Darius, si sfilò gli occhiali e si tolse il
cappello.
<<Fiuu, caspita, è stata una
bella sorpresa, eh?>> chiese all'uomo che aveva davanti
<<Ahah, ci puoi giurare amico, se
lo ricorderanno per un po' quei figli di puttana!>>
<<Hei ragazzo, dicci un po', che
si prova ad avere appena vinto un'altra chance?>>
Darius ancora un po' scosso cercò il
fiato per rispondere
<<Beh, un bel sollievo direi>>
<< Ahah, sante parole figliolo!>>
Il gracile si tolse a sua volta
occhialoni e cappello: era una ragazza. Una lunga massa di capelli
ondulati e neri come il carbone ricadde sulle sue spalle. Un paio di
occhi azzurri, carichi di energia, ma penetranti come elettro-lance
si fissarono su Darius.
<<E così tu saresti Darius, il
sostituto del capo meccanico?>>
<<Sì, sono io, ma non mi sono
certo offerto volontario.>>
<<Non me ne importa un cavolo se
sei un volontario o no, siamo tutti in questa merda per una decisione
del Fato, no di certo perchè ce lo siamo scelto noi.>>
<<Non so nemmeno chi siate, stavo
solo specificando, dato che ultimamente ho dovuto fare parecchia
attenzione alle parole che mi escono di bocca.>>
<<Beh, se non vuoi che ti
riportiamo ai tuoi aguzzini allora ti consiglio di continuare su
quell'andazzo>>
Darius si sentiva offeso. Ciò a cui
era sopravvissuto aveva dell'incredibile, e questa sputa-sentenze non
aveva nulla di meglio da fare che farlo sentire un verme.
Il baffone si mise a parlare, cercando
di placare gli animi.
<<Hey, vediamo di non perdere la
calma, mi sembra che siamo tutti parecchio nervosetti qui. La
situazione è bollente, e probabilmente il nostro amico qui non ha
idea di quello che sta succedendo.
Prima di tutto devi sapere che se ti
abbiamo salvato, è solo perchè odiamo più di ogni altra cosa il
Ministero della Sapienza, e tu sembravi un bel problema per loro,
tanto da scomodare i reparti speciali del Ministero della
Non-Congruenza per prelevarti. Il tuo lavoro deve averli in qualche
modo ostacolati, e siamo tutt'orecchi per sapere da te che diavolo
stessi facendo. Noi siamo tutti ex-meccanici, manovali, gente comune,
tutti mossi da un obiettivo solo: giustizia. Facciamo tutti parte di
un' organizzazione clandestina che combatte ormai da mesi contro il
sistema dei Ministeri e la Sofocrazia in generale. In parole povere
siamo cittadini, incazzati neri, e con una tale dose di esplosivi e
armi non-convenzionali da poter essere uditi sino dall'ultima spira
del Palazzo dei Reggenti.>>
A questo punto il Baffo si infilò una
mano nella tasca interna del giaccone per estrarne una fiaschetta di
liquore da cui tracannò qualche sorso, come per scacciare la
solennità con cui aveva pronunciato quell'ultima frase, e cadde nel
silenzio.
<<Merda, ora capisco che
intendeva la Bolton per “fortunato” quando parlava del capo
meccanico>>
Darius si ritrovò la canna di un
saldatore elettrico ad alto voltaggio tra i denti.
I capelli scarmigliati della ragazza la
facevano sembrare una furia nel suo moto d'ira così rapido e
istintivo.
<<Prova un'altra volta a dire che mio padre è stato “fortunato” e ti friggo le cervella, lurido bastardo!>> la ragazza inveì contro Darius.
<<Prova un'altra volta a dire che mio padre è stato “fortunato” e ti friggo le cervella, lurido bastardo!>> la ragazza inveì contro Darius.
<<Tuo padre? … Mi dispiace, non
lo sapevo. Sono stato dove è successo, e so che deve essere stato
terribile. Conoscevo tuo padre solo di fama, non parlava certo con le
matricole come me, ma mi è sempre sembrato un uomo onesto. Riposi in
pace>>
All'udire quelle parole la furia della
ragazza sembrò incrinarsi in una miriade di frammenti, ed esplose in
un pianto sommesso, mentre la ragazza si rimetteva a sedere contro la
paratia del veicolo.
<<C'è altro che devo sapere?
Magari uno di voi è il figlio di un Reggente, o qualcosa di simile>>
sbottò Darius contro il Baffo con
risentimento per aver tralasciato quell'informazione fondamentale.
<<No, non per ora, almeno. Fra
poco arriveremo al quartier generale della Ruggine, e lì ti saranno
date tutte le spiegazioni di cui hai bisogno.>>
<<La Ruggine? E che diavolo
sarebbe?>>
<<La Ruggine siamo noi, ragazzo,
il peggior nemico dell'ingranaggio.>>
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